La frittura è un metodo di cottura
per concentrazione molto antico, attuata con un mezzo lipidico portato a temperatura elevata, impiegando una
padella oppure una casseruola a bordi bassi, che garantisca la più rapida
disidratazione dell’alimento. Pur essendo considerata una tecnica difficile,
diventa automatica una volta che se ne siano compresi bene i semplici principi
basilari e si sia fatta un po’ di esperienza. La frittura è un metodo diffuso
in tutto il mondo e noto dai tempi più antichi. Già durante l’impero romano si
friggevano i cibi, sia dolci che salati, solitamente nell’olio di oliva. Una
ricetta del periodo, la frictilia, è
la probabile antenata delle attuali chiacchiere di carnevale. Pur essendo una
delle modalità di cottura più discusse da parte della moderna Scienza
dell’Alimentazione, la frittura ha retto la prova del tempo. Bisognerebbe considerare criticamente non
la frittura in sé, ma con che cosa e come si frigge!
La temperatura del mezzo lipidico deve essere elevata,
ma non tale da bruciare l’esterno dell’alimento prima che l’interno sia cotto. Infatti, dal centro dell’alimento si sprigiona vapore
man mano che esso cuoce, formando delle bollicine in superficie. Questo
processo chimico centripeto, ostacola la penetrazione del grasso all’interno. Quindi
un buon fritto è quello che presenta
ancora una traccia di umidità all’interno, poiché la quota lipidica non
deve penetrare, se non in quantità minima. In ogni caso, per ottenere un fritto
leggero e croccante, bisogna usare abbondante
olio e, soprattutto, fare attenzione
alla temperatura, che dovrà essere elevata ma sempre al di sotto del punto di fumo.
Il consiglio nella frittura è
quello di usare olio extravergine di
oliva che, a seconda delle varietà, ha un punto di fumo mediamente intorno ai
180°C, e non gli oli di semi, economici e con un punto di fumo apparentemente
alto. Un olio abbastanza stabile è quello di arachide, che ha un punto di fumo intorno ai 200°C.
Tuttavia, i grassi
normalmente subiscono fenomeni naturali di ossidazione, ma a temperatura
elevata e in presenza di ossigeno atmosferico, le reazioni di ossidazione sono notevolmente accelerate.
L’intensità del processo ossidativo viene contrastata dalla presenza di
sostanze antiossidanti. Fra tutti gli oli, soltanto quello extravergine d’oliva
reagisce in modo molto stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle alte
temperature, poiché è ricco in sostante antiossidanti. Più elevata è la
temperatura, più facilmente si assiste ad alterazione
dei grassi, che nei casi estremi, possono essere responsabili di effetti tossici, a causa di reazioni di
polimerizzazione, ciclizzazione e isomerizzazione.
Ogni grasso possiede un proprio specifico livello di
tolleranza alle alte temperature,
oltre il quale i trigliceridi si scindono nei loro componenti fondamentali:
glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo costituisce lo scheletro dei
trigliceridi, e si disidrata formando l’acroleina, che è una sostanza volatile
di odore pungente con azione irritante nei confronti della mucosa gastrica e
tossica per il fegato. Gli acidi grassi
subiscono la termo-ossidazione con formazione di perossidi, e successivamente
si origineranno composti dannosi come aldeidi, chetoni e polimeri.
Le sostanze antiossidanti contenute nella quota in saponificabile dei
lipidi, oltre agli effetti biologici e ai benefici nutrizionali, spiegano la stabilità dell’olio extravergine d’oliva e
ne giustificano la maggiore conservabilità e resistenza al calore, cioè alla
cottura in generale e alla frittura in particolare, rispetto agli altri oli di
semi. Questa presenza di agenti antiossidanti contenuti nelle drupe (olive) non
viene significativamente ridotta dal metodo di estrazione, che avviene a freddo o a temperature non elevate, mentre
per altri tipi di oli si usano solventi chimici come l’esano. I processi di raffinazione, infatti,
disperdono del tutto o in gran parte i componenti della quota in saponificabile
e questo si traduce in una perdita di antiossidanti.
La frittura realizzata in modo corretto, nonostante lo shock termico che altera le molecole
superficiali, in virtù del brevissimo tempo di cottura, preserva al massimo i nutrienti interni, provocandone alterazioni
meno marcate rispetto a qualsiasi altra modalità d’impiego del cotto. Inoltre, la disidratazione veloce, con la minima
impregnazione lipidica, inferiore a quella delle cotture al forno o ripassare
in padella, facilita l’azione dei succhi
digestivi.
Per la loro azione di stimolo epato-biliare,
nella composizione dei pasti, gli alimenti fritti devono
essere associati ad altri che contengono grandi quantità di acqua di
vegetazione, indispensabile per sostenere biochimicamente il lavoro
epatico richiesto dalla frittura stessa.
La frittura può essere con o
senza rivestimento. Oltre a quelle semplici, con immersione dell’alimento in
olio bollente (che si può ottenere anche con la friggitrice a condizione di
averne un’accurata manutenzione) esiste la frittura dorata.
Il fritto
dorato consiste nel passare l’alimento prima nella farina e poi nell’uovo
prima di immergerlo nel mezzo lipidico bollente. L’effetto organico sarà quello
di uno stimolo epato-biliare molto intenso, dato sia dalla modalità frittura
che dall’uovo che costituisce il rivestimento più esterno a diretto contatto
col calore.
La frittura panata, invece, si distingue in quanto il cibo da friggere viene passato
prima nell’uovo poi nel pan grattato e talvolta anche nella farina. Il contenuto
di carboidrati di questi due ultimi componenti rende questa frittura utilizzabile
anche da individui con funzionalità del fegato meno efficiente.
Ancora più tollerabile è la frittura in pastella, utilissima per
numerose verdure, ma anche per filetti di pesce o carne. Per ottenere una
pastella semplice che rimanga asciutta e non assorba olio, s’impasta la farina
con l’acqua, variando nella fluidità a seconda dell’alimento che si deve cuocere,
e aggiungendo un cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale.
Infine, la frittura dopo infarinatura semplice
assorbe una maggior quantità di olio rispetto alle altre modalità e quindi può
rivelarsi meno digeribile e meno adatta per individui a rischio di patologie.
È importante che i fritti non vengano salati prima
della cottura. Il sale concentra l’umidità
e impedisce la formazione di una superficie croccante, per cui il fritto va
salato al momento di servirlo.
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