martedì 27 dicembre 2016

Cottura trifolata, soffritta e ripassata: cosa bisogna sapere?


 

Differenti dalla frittura vera e propria, in questi casi il mezzo lipidico costituisce solo un modo per impedire che l’alimento bruci a contatto diretto col calore. Nella maggior parte dei casi si tratta di cotture riguardanti vari tipi di verdure.
 
Per esempio nella modalità TRIFOLATA si tagliano in piccoli pezzi vegetali come funghi, zucchine, carciofi, melanzane (ecc.) e si mettono a crudo in una padella nella quale si fanno soffriggere leggermente aglio o cipolla, o erbe aromatiche varie, in un fondo di olio extravergine d’oliva. L’alimento si lascia insaporire finche non evapora la sua quota d’acqua e la cottura non è completa.
 
In altri casi, ma in particolare per chi soffre di problemi gastrici, verdure come la cicoria, l’indivia belga, gli spinaci o altre verdure a foglia, dopo essere state bollite vanno RIPASSATE, in quanto l’eliminazione dell’acqua in presenza dello strato lipidico che contorna l’alimento facilitano l’azione dei succhi gastrici. Per questi tipi di cotture è indicato l’impiego di padelle in ferro, in particolare nei soggetti con anemia sideropenia, ma anche per aumentare la biodisponibilità dei vari nutrienti, in quanto il ferro liberato dalla stoviglia si comporterà da carrier per tutte le reazioni biochimiche cellulari.
 
Infine il SOFFRITTO, grazie al quale molte preparazioni si rendono più digeribili oltre che più gustose. Per esempio per la realizzazione del ragù, la carne preventivamente soffritta subirà una minore perdita di nutrienti e sarà tollerata meglio dall’organismo. Invece se fosse immersa direttamente nel sugo subirebbe una denaturazione totale delle proteine e la saturazione della quota lipidica oltre a non produrre alcun tipo di stimolo epatico

giovedì 22 dicembre 2016

Indicazioni per una corretta bollitura, sbollentatura e sobollitura



Bollire dei cibi comporta una sensibile perdita dei valori nutrizionali, in parte recuperabili dal liquido di cottura.
 
Gli alimenti immersi nell’acqua tendono a perdere nel brodo alcuni nutrienti. Ad esempio la carne messa in acqua fredda e portata ed ebollizione perde nel brodo una discreta quantità di proteine di grassi, dal 50 al 70 % dei minerali e buona parte delle vitamine del gruppo B e dell’acido pantotenico. Al contrario, se la carne è immersa in acqua calda si riduce la fuoriuscita di nutrienti e l’alimento e mantiene un buon valor nutrizionale.
 
Anche per gli ortaggi la maggior parte dei minerali e delle vitamine passa nel liquido di cottura. Infatti la cottura in acqua provoca la fuoriuscita dei composti idrosolubili tra cui la vitamina C e quelle del gruppo B. Anche i Sali minerali vengono persi nel liquido di cottura, il che può essere vantaggioso in alcune condizioni cliniche e meno utile nei soggetti disidratati e demineralizzati. Per la vitamina A non idrosolubile e abbastanza resistente al calore la perdita è meno significativa.
 
Per ottenere i migliori risultati sia sul piano del gusto che su quello del valore nutrizionale è necessario seguire particolari accorgimenti per una corretta BOLLITURA:
  • Salvo che per la pasta e per il riso, la bollitura va fatta in acqua bollente non salata, in quanto il sale durante la cottura faciliterebbe la formazione di aggregati cristallini, che potrebbero provocare difficoltà a livello renale.
  • Nel caso specifico di pazienti affetti da patologie organiche del rene, che non potrebbero tollerare un carico eccessivo di Sali, si realizza la doppia bollitura delle verdure mettendole a bollire e contemporaneamente preparando sul fuoco una seconda pentola con acqua. A metà cottura si scola l’alimento eliminando i Sali già persi in diluizione nella prima acqua e si immerge nel secondo recipiente per completare la cottura.
     
La SBOLLENTATURA consiste nell’immergere un alimento per breve tempo in acqua bollente, scolandolo pochi minuti dopo la ripresa del bollore. Generalmente si effettua come passaggio preliminare, ed esempio per le verdure al gratin o ripassate. Lo scopo è quello di intenerire, impoverire di sali o semplicemente rendere commestibili alcuni alimenti.
 
Un caso particolare è la SOBOLLITURA, vale a dire il riscaldamento di un liquido senza arrivare alla fase di ebollizione, con tutte le caratteristiche fisico-chimiche che comporterebbe. Tale modalità è utilizzata soprattutto per il latte allo scopo di evitare la classica schiuma, espressione sia della formazione di micro bollicine d’aria, (con complicanze digestive per pazienti a rischio) che di saturazione del prezioso e delicato patrimonio lipidico di questo alimento primordiale per tutti i mammiferi.

lunedì 19 dicembre 2016

Avvertenze e segreti della cottura alla griglia o alla piastra



Si tratta di un metodo di cottura estremamente naturale, che può essere utilizzato all’aperto anche senza particolari attrezzature. Sulla piastra o sulla griglia le vivande, e in particolar modo la carne, cuociono in un ambiente asciutto, senza l’accumulo di vapore che si forma intorno all’alimento cotto ad esempio in forno.
Come sempre è tuttavia necessario tenere a mente alcune avvertenze:
 
  • La cottura alla piastra o alla griglia con legna o carbone di legna è veloce e denatura pochissimo i cibi.
  • Da evitare la cottura a fiamma diretta da gas di città per la cancerogenicità degli idrocarburi.
  • Da evitare l’impiego di legno trattato con vernici.
  • Il posizionamento del cibo deve avvenire quando il calore è al massimo in modo da provocare un’agglutinazione delle proteine di superficie della carne, salvaguardando l’integrità dei nutrienti interni.
  • La carne non va punta durante la cottura per non causare la fuoriuscita dei succhi interni e la salatura deve avvenire solo alla fine poiché il sale richiama i liquidi e l’alimento seccherebbe troppo.
  • Dopo l’uso la griglia o la piastra vanno accuratamente spazzolate, pulite con uno straccio e leggermente unte con olio extravergine d’oliva per evitarne l’ossidazione
     
Il vantaggio di questo tipo di cottura, almeno per quanto riguarda alcuni tipi di carne come maiale o abbacchio, consiste nel fatto che una consistente quota lipidica viene persa per percolamento, rendendole idonee anche nell’alimentazione di pazienti con ipercolesterolemia e dismetabolismo lipidico.

giovedì 15 dicembre 2016

Come eseguire correttamente la cotture affogata o la cottura stufata



La cottura affogata consiste nel mettere la verdura cruda direttamente in un fondo di extravergine d’oliva bollente, chiudendo con il coperchio e facendo in modo che l’alimento possa stufare nella sua stessa acqua evaporata. Anche in questo caso il potenziale nutrizionale dell’alimento viene preservato al massimo, ma la digeribilità non è ottimale e le controindicazioni riguarderanno ancora una volta le patologie renali.
Simile è la cottura stufata, che consiste nel far cuocere l’alimento a calore moderato, in una ridotta quantità di liquido o di grasso. Questo metodo è spesso utilizzato per tagli di carne piuttosto duri. Normalmente si aggiungono alla vivanda anche verdure, erbe aromatiche e spezie, che ultimata la cottura, vengono serviti assieme alla carne, di cui possono favorire la digeribilità o esplicare diverse funzioni organiche.
E voi siete amanti di questi metodi di cottura?

lunedì 12 dicembre 2016

Cosa non sapevi della cottura al forno



La cottura al forno non è indicata nei casi di difficoltà della funzione renale o di imbibizione organica. Infatti, rispetto alla cottura al vapore, si verifica una disidratazione dell’alimento ed una concentrazione dei nutrienti e dei sali maggiore.


Ad esempio, le zucchine cotte a vapore rilasciano nel fondo della casseruola un liquido verdastro ricco di sali dispersi; cosa che invece non avviene durante la cottura al forno perciò i sali vengono trattenuti.
 
Per limitare in parte questo inconveniente, gli alimenti vanno messi nel forno già riscaldato alla temperatura prevista, in modo da provocare la formazione di una crosta di superficie e salvaguardare i nutrienti interni.
 
Modalità particolari di cotture al forno sono quella al gratin (che prevede la copertura dell’alimento con il pan grattato) o in besciamelle (che comporta modifiche significative dei componenti del latte e del burro, controindicate ne i soggetti che lamentano difficoltà della funzione epato-biliare).

venerdì 9 dicembre 2016

Cottura al vapore, tutto quello che c’è da sapere



Dal punto di vista della conservazione dei principi nutritivi dell’alimento, quella al vapore costituisce una delle migliori modalità di cottura, in quanto i cibi cuociono a temperature relativamente basse, di solito inferiori a 100°C se non si usa la pentola a pressione.  Per questa ragione si hanno perdite minime di vitamine e minerali e i cibi mantengono pressoché inalterati i sapori e gli aromi.
Essa si presta soprattutto per cucinare ortaggi e pesci, che in questo modo conservano intatti l’aroma e i valori nutritivi.
È meno consigliabile per le carni che in generale necessitano di temperature elevate all’inizio della cottura per non disperdere i succhi in esse contenute.
Per la concentrazione dei sali, la cottura al vapore è molto indicata nei bambini o negli adolescenti in accrescimento o nelle persone denutrite, nei pazienti disidratati dopo forme influenzali con febbre elevata e tutte le volte che si verifichi una profusa perdita di liquidi.

Per le stesse ragioni, tuttavia, essa sarà controindicata nei pazienti renali e nei soggetti imbibiti ed ipertesi.

martedì 6 dicembre 2016

Sai che una corretta frittura preserva al massimo i nutrienti degli alimenti?



La frittura è un metodo di cottura per concentrazione molto antico, attuata con un mezzo lipidico portato a temperatura elevata, impiegando una padella oppure una casseruola a bordi bassi, che garantisca la più rapida disidratazione dell’alimento. Pur essendo considerata una tecnica difficile, diventa automatica una volta che se ne siano compresi bene i semplici principi basilari e si sia fatta un po’ di esperienza. La frittura è un metodo diffuso in tutto il mondo e noto dai tempi più antichi. Già durante l’impero romano si friggevano i cibi, sia dolci che salati, solitamente nell’olio di oliva. Una ricetta del periodo, la frictilia, è la probabile antenata delle attuali chiacchiere di carnevale. Pur essendo una delle modalità di cottura più discusse da parte della moderna Scienza dell’Alimentazione, la frittura ha retto la prova del tempo. Bisognerebbe considerare criticamente non la frittura in sé, ma con che cosa e come si frigge!
 
La temperatura del mezzo lipidico deve essere elevata, ma non tale da bruciare l’esterno dell’alimento prima che l’interno sia cotto. Infatti, dal centro dell’alimento si sprigiona vapore man mano che esso cuoce, formando delle bollicine in superficie. Questo processo chimico centripeto, ostacola la penetrazione del grasso all’interno. Quindi un buon fritto è quello che presenta ancora una traccia di umidità all’interno, poiché la quota lipidica non deve penetrare, se non in quantità minima. In ogni caso, per ottenere un fritto leggero e croccante, bisogna usare abbondante olio e, soprattutto, fare attenzione alla temperatura, che dovrà essere elevata ma sempre al di sotto del punto di fumo.
 
Il consiglio nella frittura è quello di usare olio extravergine di oliva che, a seconda delle varietà, ha un punto di fumo mediamente intorno ai 180°C, e non gli oli di semi, economici e con un punto di fumo apparentemente alto. Un olio abbastanza stabile è quello di arachide, che ha un punto di fumo intorno ai 200°C.
 
Tuttavia, i grassi normalmente subiscono fenomeni naturali di ossidazione, ma a temperatura elevata e in presenza di ossigeno atmosferico, le reazioni di ossidazione sono notevolmente accelerate. L’intensità del processo ossidativo viene contrastata dalla presenza di sostanze antiossidanti. Fra tutti gli oli, soltanto quello extravergine d’oliva reagisce in modo molto stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle alte temperature, poiché è ricco in sostante antiossidanti. Più elevata è la temperatura, più facilmente si assiste ad alterazione dei grassi, che nei casi estremi, possono essere responsabili di effetti tossici, a causa di reazioni di polimerizzazione, ciclizzazione e isomerizzazione.



 
Ogni grasso possiede un proprio specifico livello di tolleranza alle alte temperature, oltre il quale i trigliceridi si scindono nei loro componenti fondamentali: glicerolo e acidi grassi.  Il glicerolo costituisce lo scheletro dei trigliceridi, e si disidrata formando l’acroleina, che è una sostanza volatile di odore pungente con azione irritante nei confronti della mucosa gastrica e tossica per il fegato. Gli acidi grassi subiscono la termo-ossidazione con formazione di perossidi, e successivamente si origineranno composti dannosi come aldeidi, chetoni e polimeri.
 
Le sostanze antiossidanti contenute nella quota in saponificabile dei lipidi, oltre agli effetti biologici e ai benefici nutrizionali, spiegano la stabilità dell’olio extravergine d’oliva e ne giustificano la maggiore conservabilità e resistenza al calore, cioè alla cottura in generale e alla frittura in particolare, rispetto agli altri oli di semi. Questa presenza di agenti antiossidanti contenuti nelle drupe (olive) non viene significativamente ridotta dal metodo di estrazione, che avviene  a freddo o a temperature non elevate, mentre per altri tipi di oli si usano solventi chimici come l’esano.  I processi di raffinazione, infatti, disperdono del tutto o in gran parte i componenti della quota in saponificabile e questo si traduce in una perdita di antiossidanti.
 
La frittura realizzata in modo corretto, nonostante lo shock termico che altera le molecole superficiali, in virtù del brevissimo tempo di cottura, preserva al massimo i nutrienti interni, provocandone alterazioni meno marcate rispetto a qualsiasi altra modalità d’impiego del cotto. Inoltre, la disidratazione veloce, con la minima impregnazione lipidica, inferiore a quella delle cotture al forno o ripassare in padella, facilita l’azione dei succhi digestivi.

 
 Per la loro azione di stimolo epato-biliare, nella composizione dei pasti, gli alimenti fritti devono essere associati ad altri che contengono grandi quantità di acqua di vegetazione, indispensabile per sostenere biochimicamente il lavoro epatico richiesto dalla frittura stessa.
 
La frittura può essere con o senza rivestimento. Oltre a quelle semplici, con immersione dell’alimento in olio bollente (che si può ottenere anche con la friggitrice a condizione di averne un’accurata manutenzione) esiste la frittura dorata.
 
 Il fritto dorato consiste nel passare l’alimento prima nella farina e poi nell’uovo prima di immergerlo nel mezzo lipidico bollente. L’effetto organico sarà quello di uno stimolo epato-biliare molto intenso, dato sia dalla modalità frittura che dall’uovo che costituisce il rivestimento più esterno a diretto contatto col calore.
 
La frittura panata, invece, si distingue in  quanto il cibo da friggere viene passato prima nell’uovo poi nel pan grattato e talvolta anche nella farina. Il contenuto di carboidrati di questi due ultimi componenti rende questa frittura utilizzabile anche da individui con funzionalità del fegato meno efficiente.
 

Ancora più tollerabile è la frittura in pastella, utilissima per numerose verdure, ma anche per filetti di pesce o carne. Per ottenere una pastella semplice che rimanga asciutta e non assorba olio, s’impasta la farina con l’acqua, variando nella fluidità a seconda dell’alimento che si deve cuocere, e aggiungendo un cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale.
 
Infine, la frittura dopo infarinatura semplice assorbe una maggior quantità di olio rispetto alle altre modalità e quindi può rivelarsi meno digeribile e meno adatta per individui a rischio di patologie.
 
È importante che i fritti non vengano salati prima della cottura. Il sale concentra l’umidità e impedisce la formazione di una superficie croccante, per cui il fritto va salato al momento di servirlo.